
Il formatore umorista: quando l’ascolto ride e fa pensare
Cosa succede quando pedagogia, umorismo e narrazione si incontrano sul terreno della formazione?
Nasce una figura inedita e preziosa: il formatore umorista, capace di unire il rigore educativo alla leggerezza dell’ironia, la riflessione critica all’intuizione poetica.
È questa la tesi esplorata da Riccardo Malaspina nella sua brillante ricerca magistrale in Scienze Pedagogiche all’Università di Milano-Bicocca.
Un lavoro intenso, personale, profondo, che l’Osservatorio Feldman ha accolto con entusiasmo per la sua capacità di coniugare sapere accademico, esperienza autobiografica e spirito umoristico.
Educare con leggerezza (senza essere superficiali)
Nel cuore della tesi troviamo una convinzione che l’Osservatorio condivide da sempre: l’umorismo è un potente strumento conoscitivo e relazionale.
Non è solo una pausa di sollievo nella fatica educativa, ma un’attitudine epistemologica, un modo di stare al mondo e di incontrare l’altro.
L’umorismo, per Malaspina, è un simbionte: qualcosa che ci accompagna, ci abita, ci trasforma. Come Venom nei fumetti, può essere inquietante e liberatorio al tempo stesso.
Ma se coltivato con consapevolezza, diventa una risorsa per affrontare il conflitto, sciogliere i paradossi comunicativi e restituire umanità alle relazioni.
La tesi si confronta con diversi approcci alla comicità, inclusi alcuni modelli teorici recenti che ne esplorano il potenziale formativo. Tra questi, particolare rilievo è dato all’idea che l’umorismo possa diventare una vera e propria intelligenza creativa e relazionale, capace di decostruire gerarchie e attivare apprendimenti profondi.
Capoeira, Capricci e Capolavori
L’intero elaborato è attraversato da una narrazione viva e autoironica, che parte dai racconti del nonno e arriva fino alla Capoeira, arte marziale afro-brasiliana che diventa metafora della pratica pedagogica: un gioco relazionale fatto di ascolto, improvvisazione, rispetto dei ruoli e delle regole, ma anche di coraggio creativo.
L’umorismo – come la Capoeira – è un “gioco serio” che mette in scena i contrasti, li trasforma in danza, li sublima in racconto.
E il formatore, in questo quadro, è un cantador, un narratore che sa mescolare rigore e immaginazione, corpo e voce, empatia e distanza critica.
Questo sguardo è in parte ispirato anche a esperienze e ricerche teatrali contemporanee che hanno indagato le potenzialità dell’umorismo scenico come strumento educativo. In particolare, si avverte l’influenza di studi che hanno sistematizzato le categorie del comico – parola, corpo, situazione, relazione, paradosso – trasformandole in strumenti di lettura dei contesti formativi.
Sceneggiature pedagogiche per nuovi protagonisti
Il cuore operativo della tesi è la proposta di una sceneggiatura pedagogica: un modello formativo pensato per educatori e operatori sociali, capace di unire biografia, ascolto attivo e umorismo.
Una formazione che non fornisce soluzioni pronte, ma crea contesti in cui poter esplorare – insieme – domande vere.
Il modello proposto si rifà, in modo originale, a pratiche teatrali e narrative già sperimentate in ambito formativo, in particolare nei laboratori che usano l’umorismo come leva trasformativa e come dispositivo critico. Una linea che riprende, rielabora e in parte estende il lavoro svolto da alcuni autori che hanno messo la comicità al servizio della formazione, come Matteo Andreone, citato più volte nella tesi per il suo contributo teorico e metodologico.
In un’epoca dominata dall’efficienza, dalla standardizzazione e dalla narrazione motivazionale usa-e-getta, Malaspina propone un controcanto: quello della lentezza, dell’incertezza creativa, della relazione autentica.
E lo fa con lo sguardo partecipe e disarmato di chi ha imparato – anche grazie ai maestri incontrati – che ridere di sé è il primo passo per prendersi cura di sé.
Perché parlarne qui?
Perché questa tesi è, a tutti gli effetti, una tesi feldmaniana.
Non solo per il tema dell’umorismo, ma per l’approccio sistemico, narrativo, non lineare.
È una riflessione che invita a pensare con i piedi per terra e lo sguardo aperto.
Che ci ricorda quanto l’umorismo non sia una fuga dal reale, ma un modo per attraversarlo con più grazia, più verità, più umanità.
E perché, come dice Malaspina parafrasando il nonno, a volte per educare bisogna avere il coraggio di raccontare storie che sembrano bugie, ma che in realtà sono solo un altro modo di dire la verità.
Un’eredità narrativa che, grazie anche a chi ne ha saputo delineare i fondamenti con rigore e creatività, può diventare uno strumento di cura e trasformazione.
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